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Soia, Trifoglio Rosso, Liquirizia, Dong Quai e Cimicifuga

breve analisi delle qualità e dei loro effetti

Soia, questo legume è uno dei prodotti alimentari maggiormente coltivati al mondo, oltre agli innumerevoli usi alimentari, tanto per l’uomo che per gli animali, ha svariati usi industriali, tra gli ultimi la produzione di biocombustibili.

Nella soia e nel trifoglio rosso, i costituenti fondamentali dei fitormoni sono gli isoflavoni, a loro volta suddivisi in genistina e daidzeina. Anche se la concentrazione di isoflavoni nel trifoglio rosso è dieci volte superiore rispetto a quella della soia, la soia ha il grande vantaggio di essere commestibile e quindi di poter entrare facilmente nella dieta. In ogni caso l’effetto ormonale svolto da queste due piante può essere, sia un efficace effetto antiestrogenico, sia un debole effetto pro estrogenico. Questa apparente contraddizione ha una spiegazione scientifica che parte dai recettori ormonali di cui abbiamo parlato prima.

Supponiamo, infatti, che la persona da trattare abbia un eccesso di estrogeni nel sangue, in questo caso i recettori cellulari funzioneranno al massimo della loro capacità di captazione e quindi gli effetti degli ormoni sull’organismo saranno altrettanto elevati. Per attenuare tuttavia questi effetti noi possiamo usare gli isoflavoni contenuti nella soia. Dal momento, infatti, che i fitormoni della soia hanno una struttura molecolare molto simile a quella degli estrogeni naturali, essi sono in grado di attaccarsi agli stessi recettori degli ormoni naturali, sostituendosi ad essi.

Poiché tuttavia i fitormoni hanno una bassissima attività estrogenica rispetto a quella degli ormoni naturali —uno a mille— da un lato il loro effetto estrogenico sarà molto modesto e quindi tale da non aggiungersi a quello, già oltre i limiti, degli ormoni naturali, dall’altro con il blocco competitivo del recettore, essi saranno in grado di attenuare l’azione degli stessi ormoni naturali. Per ottenere questo risultato gli isoflavoni devono tuttavia essere somministrati per un lungo periodo (almeno due–tre mesi), in modo da accrescerne il piú possibile la quantità nel sangue e quindi aumentare la loro possibilità di competere con gli ormoni naturali.

Per quanto riguarda invece l’effetto proestrogenico, questo diventa ovviamente piú efficace solo quando gli ormoni naturali nel sangue sono estremamente ridotti, come ad esempio nel caso della menopausa. In questa situazione, anche se, come abbiamo visto, i fitormoni sono di gran lunga meno efficaci rispetto agli ormoni naturali, la loro azione può essere sufficiente a bloccare certi sintomi della post–menopausa, come le vampate e l’osteoporosi. La conferma di ciò viene dalle donne asiatiche che consumano ogni giorno piatti a base di soia in cui sono contenuti circa 100–150 mg di isoflavoni. In effetti si è visto sperimentalmente che l’azione preventiva si ottiene consumando dai quaranta agli ottanta milligrammi di isoflavoni al giorno, mentre l’azione terapeutica richiede dagli 80 ai 150 mg al giorno.

Ad ogni modo gli isoflavoni sono piú efficaci come antiestrogeni nella sindrome premestruale che non come proestrogeni nella postmenopausa. La loro indicazione comprende comunque, oltre alla sindrome premestruale e ai sintomi della menopausa, l’osteoporosi, l’endometriosi, i fibromi uterini, le cisti ovariche, le malattie del seno e della prostata. Gli isoflavoni sono inoltre dei potenti antiossidanti su molte strutture dell’organismo. Hanno poi un effetto positivo sul blocco dell’angiogenesi, la crescita cioè di nuovi vasi, in particolare di tipo tumorale, con un’azione simile a quella di altre sostanze come ad esempio la cartilagene di squalo.

Agiscono inoltre positivamente sull’osteoporosi favorendo l’attività degli osteoblasti (che costruiscono l’osso) ed inibendo quella degli osteoclasti (che distruggono l’osso). Quest’effetto viene potenziato anche dall’aumentata secrezione di calcitonina dalle paratiroidi, ghiandole endocrine secernenti il paratormone che regola il livello del calcio nel sangue. In piú gli isoflavoni hanno un’azione protettiva sull’apparato cardiovascolare, sia direttamente, sia assieme alle saponine, ugualmente contenute nella soia. Le saponine, infatti, favoriscono con la loro presenza nell’intestino l’escrezione degli acidi biliari che in questo modo non possono essere riassorbiti dal fegato. Il fegato pertanto è obbligato a ricostruire gli acidi biliari partendo dal colesterolo che in questo modo è rimosso dal sangue abbassando il rischio di arterosclerosi.

Venendo ora alla radice di liquirizia, va detto che gli isoflavoni in essa contenuti, hanno un’azione prevalentemente antiestrogenica che favorisce tuttavia il mantenimento di un buon livello di progesterone, ormone femminile tipico della gravidanza, ma presente anche nel ciclo mestruale assieme agli estrogeni. Per questo la radice di liquirizia è indicata nella sindrome premestruale ancora di piú del trifoglio rosso o della soia. La radice di liquirizia ha inoltre un effetto positivo sulle ghiandole surrenali dove migliora il metabolismo del cortisolo, ormone dello stress per eccellenza.

Agendo tuttavia sulle surrenali, la radice di liquirizia coinvolge anche un altro ormone, l’aldosterone, che favorisce la ritenzione idrica e quindi l’ipertensione. Da qui l’esistenza di un rapporto diretto ipertensione–liquirizia di cui va tenuto conto. Nei confronti dell’aldosterone tuttavia, la liquirizia può avere un effetto bivalente, antiormonale a bassi dosaggi, pro–ormonale ad alti dosaggi. La difficoltà maggiore è stabilire individualmente i dosaggi delle due diverse azioni. In ogni caso, per trattare le ipertensioni essenziali o la sindrome pre–mestruale (entrambi con iperaldosteronismo e ritenzione di sodio) si può tentare di assumere poca liquirizia assieme a tanto magnesio che riduce competitivamente la quantità di sodio nelle cellule.

Per quanto riguarda invece il dong quai (Angelica sinensis) si tratta di uno dei fitoestrogeni tra i piú versatili. Viene infatti utilizzato dalla medicina tradizionale cinese già da centinaia di anni ed è l’erba non occidentale piú diffusa negli Stati Uniti. La sua attività proestrogenica è piú potente di quella degli altri isoflavoni –uno a quattrocento contro uno a mille– mentre quella antiestrogenica è minore. Va meglio quindi per la menopausa che non per la sindrome premestruale ed è inoltre un tonico in grado di controllare la contrazione dell’utero. In molti casi è stato usato nell’amenorrea per far tornare le mestruazioni e nella dismenorrea per controllare il dolore. È stato infine impiegato anche nei casi d’infertilità femminile ed in quelli di cisti ovariche soprattutto in associazione alla palma nana.

Venendo ora alla cimicifuga, si tratta di una pianta utilizzata dai nativi americani fin dall’antichità che possiede un’attività soprattutto proestroegenica capace di ridurre l’effetto dell’ormone luteinizzante (lh) rilasciato dall’ipofisi per produrre il progesterone alle ovaie. Durante la menopausa, la mancanza di progesterone, obbliga l’ipofisi a rilasciare lh proprio per stimolare le ovaie ad aumentare il livello del progesterone, questo però mantiene bassi i livelli di estrogeni.

La cimicifuga agendo sul lh può pertanto controllarne l’effetto e migliorare in questo modo la presenza di estrogeni soprattutto durante il passaggio climaterico (pre menopausa). È quindi particolarmente indicata nella menopausa vista la sua efficacia documentata in numerosi casi in cui la sua azione è risultata migliore, dal punto di vista fisico e psichico, degli estrogeni sintetici, senza tuttavia i rischi che questi presentano. I migliori risultati si hanno dopo almeno due mesi di trattamento, anche in alternativa agli ormoni tradizionali. La cimicifuga sembra, infatti, assomigliare nel suo effetto piú all’estriolo (ormone femminile) che non all’estradiolo (forma modificata ben piú attiva, ma con maggiore rischio di tumore rispetto all’estriolo).


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